DOLORE AL COLLO

 In Fisioterapia

Introduzione – DOLORE AL COLLO

Il dolore al collo o cervicalgia, è uno dei disturbi muscolo-scheletrici più comuni che riguarda la cervicale, e colpisce tra il 22% e il 77% degli individui nella loro vita (Childs et al – linee guida 2008, 34 pagine).

Mentre questo dolore si risolve con il tempo, il 30% dei pazienti che riferiscono dolore al collo alla fine sviluppa sintomi cronici della durata di oltre sei mesi (Bovim et al). Tra il 37% e il 44% (Cote et al, Hurwitz et al) di coloro che soffrono di dolore al collo inoltre riferiranno anche sintomi persistenti per almeno 12 mesi dopo il primo episodio.

Sfortunatamente, anche dopo un trattamento di successo, c’è una percentuale di recidiva segnalata del 50-85% da uno fino a cinque anni dopo la risoluzione dei sintomi (Halderman et al).

Questo ci suggerisce che il dolore al collo è tutt’altro che un disturbo limitante di breve periodo, ma cosa stiamo facendo per trattare i nostri pazienti?

Il sintomo di dolore di cui parliamo in questo articolo non è da confondere con il dolore al collo irradiato al braccio anche detto cervicobrachialgia.

Quest’articolo intende affrontare il dolore percepito nella regione anatomica del rachide cervicale, nello spazio delimitato dalle sette vertebre cervicali e nella muscolatura circostante, con una maggiore attenzione rivolta al dolore cronico che abbiamo appena visto insorgere di frequente. Devi sapere che il dolore cronico è definito, in accordo con l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore e l’ ”American Pain Society”, come un dolore che persiste oltre il tempo normale di guarigione dei tessuti, definito tre mesi (Kindler et al. 2010).

Sebbene il dolore cervicale (sia acuto che cronico) generalmente si risolva con la Fisioterapia, sarebbe auspicabile che tu ti possa avvalere di un approccio che consenta una valutazione completa di questo disturbo, così da poter ricevere il trattamento fisioterapico più adeguato per la tua specifica situazione.

Ora non preoccuparti, vedrai che nel corso della lettura di questo articolo diviso in due parti, riceverai le migliori informazioni per aiutarti nel tuo percorso di risoluzione del problema.

Cause mal di collo?

I meccanismi per lo sviluppo del dolore al collo non sono completamente compresi dalla scienza (Kindler et al. 2010); vari lavori di ricerca scientifica hanno provato a identificare i soggetti che sono più a rischio di sviluppare dolore al collo:

essere donna, di razza bianca e di mezza età aumenta i rischi di cronicizzazione del dolore al collo (Goode et al. 2010).
una storia con precedente dolore al collo o, analogamente, un incidente associato al colpo di frusta può aumentare le probabilità di sviluppare un futuro dolore cronico (Verhagen et al. 2007)
l’occupazione e il tipo di lavoro rappresentano fattori di rischio nello sviluppo del dolore cronico al collo (Croft et al. 2001).
stili di vita sedentari, lavori basati sull’ufficio e un crescente ricorso alla tecnologia hanno aumentato la prevalenza del dolore al collo negli ultimi anni (Falla 2004).
i fattori psicosociali, tra cui depressione e ansia, colpiscono tra il 20% e il 50% delle persone con dolore cronico (Whitten et al. 2005)

Oggi è ormai noto che il dolore può assumere, nel momento della sua comparsa e lungo il suo sviluppo nel tempo, connotati più complessi rispetto a quanto deriva dall’insulto o danno originario (O’Sullivan 2012). Il dolore muscolo-scheletrico di natura cronica si può sviluppare a seguito di una lesione, di un infortunio o di sovente a seguito di nessuna apparente causa o meccanismo lesivo, seguito da un’infiammazione neurogena, dolore persistente e allodinia (cioè un dolore suscitato da uno stimolo che normalmente non è in grado di provocarlo, una carezza ad esempio).

Questa iperproduzione di segnali nocicettivi e/o dolorifici ripetuti nel tempo può produrre cambiamenti importanti nel sistema nervoso, di natura sia funzionale che strutturale, tale da renderlo più eccitato, con il risultato finale di una sensibilizzazione centrale (Nijs et al. 2014), ossia un’esperienza e un vissuto del dolore di natura decisamente sproporzionata (in negativo) rispetto alla natura e all’entità dello stimolo dannoso di partenza, con seguente perdita di controllo sugli stimoli nocicettivi-dolorifici (Moseley e Flor 2012).

Ricorda: il dolore muscolo-scheletrico (e in genere) è sempre un mix di ingredienti che interagiscono tra di loro, credevamo e ci è stato insegnato a scuola che il dolore è sempre una strada a senso unico, come il danno ai tessuti (causato da un colpo, una caduta accidentale, un trauma) o lo stress biomeccanico come unica fonte di dolore.

Come dimostrano invece le ricerche degli ultimi anni, il dolore è molto più complesso:”Il dolore è l’output, il messaggio di uscita. La nocicezione è uno degli input. Quando parliamo di dolore, tutte le informazioni sono valutati dal cervello secondo questa domanda: “quanto è pericoloso e minaccioso questo imput per la mia incolumità? Basandomi su tutte le informazioni disponibili in questo dato momento, quanto è pericoloso tutto ciò? ” (Lorimer Moseley, ricercatore e fisioterapista del dolore, University of South Australia).

La scienza oggi ci dice che il dolore è una somma di fattori psicosociali (ad esempio emozioni – quali ansia, paura – comportamenti, aspettative, credenze, soddisfazione nel lavoro, cultura) e fattori biologici (sistema nervoso, sistema muscolo-scheletrico, ormoni, enzimi,infiammazione ecc.).

Il modo in cui sentiamo il dolore e la maniera attraverso cui reagiamo ad esso dipende da queste interazioni di fattori. A volte e in determinate circostanze un fattore contribuisce al dolore in maniera più decisiva rispetto agli altri (Melzack et al. 2013). Hai capito già molte cose, hai compreso che il dolore è controllabile da te, con le tue idee, pensieri e comportamenti, assieme ad un atteggiamento mentale positivo e propositivo (i tuoi fattori ed elementi psicosociali).

Le cause del dolore variano dalla maggiore sensibilità nelle strutture articolari e miofasciali (muscoli, fascia connettivale, tendini,legamenti ecc.) e nei nervi, ad eventi di natura più pericolosa per la salute come la mielopatia .

In questo articolo non sono affrontati i dolori al collo per cause di gravità maggiori quali frattura, tumore e compromissione vascolare. Più comunemente troviamo:

Cambiamenti degenerativi al disco vertebrale o alle faccette articolari
Compressione al forame da cui fuoriesce la radice nervosa dovuta a ernia del disco e/o alla formazione di osteofiti, con comparsa di radicolopatia lungo gli arti superiori (Malanga et al. 2011)
Debolezza e stanchezza muscolare data da overuse (postura, stile di vita,sport, lavoro ecc.)

Inoltre, nel rachide cervicale le ernie e le protrusioni del disco possono instaurarsi con un carico improvviso al collo soprattutto nelle posizioni di flessione del collo. Negli anziani, l’estensione ripetuta del collo con la compresenza di osteofiti oppure le ripetute rotazioni richieste in alcuni sport, come il nuoto o il tennis, possono provocare complicanze insidiose (Malanga et al. 2011).

La radicolopatia cervicale, molto comune in quelli che ripetono di sovente gli stessi movimenti oppure negli atleti, caratterizzante da dolore al collo e lungo il braccio, può instaurarsi per un’estensione, un’inclinazione laterale o rotazioni improvvise del collo dato che in questa maniera si riduce dallo stesso lato lo spazio da cui fuoriesce la radice del nervo.

Devi anche sapere che la lordosi cervicale altro non è che una curva ad arco con convessità anteriore presente nel collo e rappresenta un elemento fondamentale per il mantenimento della stazione eretta. Questa curva può essere ridotta o persa (fig. 1) con l’età, a seguito di traumi (colpo di frusta) o per posture scorrette e protratte troppo a lungo durante la giornata e nei luoghi di lavoro. Spesso si è visto che un’accentuata o una completa perdita della lordosi fisiologica è presente nelle persone che maggiormente soffrono di dolori al collo (Harrison et al. 2004), ma questo non è sempre vero (Grobet al. 2007, Kim et al. 2015).

Ricordati quello che hai letto precedentemente: il dolore è un fenomeno complesso e non spiegabile sempre in modo lineare. Un collo leggermente ricurvo – con lordosi fisiologica tra i 31 e i 40 gradi (McAviney et al. 2005) – rappresenta un vantaggio rispetto ad un collo rettilineizzato (inferiore a 20 gradi) con orientamento quindi più diritto, in quanto risulta funzionale nell’ammortizzare gli shock trasmessi alla colonna vertebrale dal capo e collo che si verificano durante le attività fisiche di natura dinamica ed esplosiva (salti, corsa).

McAviney et al. nel 2005 sulla rivista “Journal of Manipulative and Physiological Therapeutic” rivela che i pazienti con verticalità completa o addirittura inversione della fisiologica lordosi del rachide cervicale, hanno una probabilità 18 volte maggiore di soffrire di cervicalgia, rispetto a coloro che rientrano tra i valori considerati fisiologici. Gli autori dello studio raccomandano un ripristino della fisiologica lordosi cervicale come un obiettivo clinico significativo nel trattamento dei pazienti con dolore al collo (approfondiremo nella seconda parte di questo articolo e capiremo in un futuro articolo la relazione che intercorre tra il dolore e la postura).

Rimedi per il mal di collo?

Hai compreso che il dolore al collo (e in realtà il dolore presente ovunque nel corpo) è di natura multifattoriale, con persone che segnalano sintomi diversi a seconda del problema, delle influenze psicosociali e dell’età. Queste presentazioni cliniche complesse richiedono un piano di trattamento personalizzato in base alla capacità funzionale, ai sintomi specifici di ciascun paziente e alle proprie aspettative.

L’obiettivo della classificazione è determinare l’approccio terapeutico che risulti il più probabile che ottenga il miglior risultato clinico per il singolo paziente. La classificazione può anche determinare l’adeguatezza del paziente per la fisioterapia. Simile al modello di classificazione basato sul trattamento proposto da Delitto et al per la lombalgia, Childs et al hanno sviluppato un sistema per i disturbi del rachide cervicale.

Il primo passo in questo sistema di classificazione determina se il paziente sia idoneo alla fisioterapia. Questa fase prevede lo screening delle “bandiere rosse” (mielopatia cervicale, cancro, instabilità legamentosa, frattura e compromissione vascolare) e cause non muscolo-scheletriche del dolore al collo (ad esempio un sospetto o recente evento cardiaco).

Questo stadio preliminare è fondamentale per escludere patologie significative che necessitino il rinvio al medico per richieste di ulteriori immagini radiologiche e / o altre indagini strumentali prima di iniziare un ciclo di fisioterapia. Durante questa fase, due specifiche regole di predizione clinica (CPR) possono aiutare a formulare il miglior giudizio clinico: la CPR per la mielopatia cervicale (Cook et al. 2010) e le “Canadian Cervical Spine Rules” per il rischio di fratture.

Il paziente è pronto per il trattamento?

Dopo aver escluso la presenza di una o più patologia gravi, il profilo psicosociale del paziente deve essere sottoposto a screening per individuare eventuali “bandiere gialle” che possano alterare l’approccio terapeutico (catastrofismo, convinzioni negative, paura del movimento ecc ). Questi pazienti possono trarre beneficio da un’ esposizione progressiva all’esercizio terapeutico o al ricondizionamento fisico generale (aerobica, pesi ecc.), e/o un programma di educazione al dolore, oltre che ai trattamenti previsti per la categoria di appartenenza del paziente secondo il sistema di classificazione basata sul trattamento ritenuto più idoneo.

Qual’ è la categoria di trattamento più corretto e idoneo per il paziente?

Lo stadio finale di questa classificazione determina la categoria di appartenenza per il trattamento più benefico per il paziente.

Il sistema di classificazione per il dolore al collo può essere suddiviso in cinque categorie distinte:

Gruppo Mobilità

Il gruppo “mobilità” riceve interventi di manipolazione e mobilizzazione cervicale e / o toracica insieme a esercizi cervicali (movimento attivo dei flessori cervicali profondi- a tal riguardo vedi la seconda parte dell’articolo). L’identificazione di questi pazienti può essere migliorata implementando le seguenti regole di predizione clinica per la manipolazione della colonna cervicale.

Gruppo Centralizzazione

I pazienti nel gruppo di “centralizzazione” dovrebbero ricevere interventi al fine di centralizzare i sintomi, vale a dire impegnare il paziente in movimenti o trattamenti manuali volti a far percepire i propri sintomi più centralmente e in prossimità della colonna cervicale, anziché più distalmente da essa (spalle, braccia ecc). Ciò è perseguibile attraverso l’uso della propria specifica preferenza direzionale che permetta la realizzazione di questo fenomeno, tramite il ricorso a movimenti ripetuti, o attraverso l’uso della trazione cervicale manuale. La CRP di Raney et al. può aiutare a identificare le persone che beneficeranno della trazione cervicale.

 

Gruppo Esercizio e Condizionamento fisico

I pazienti che beneficeranno del condizionamento fisico generale mostrano generalmente punteggi più bassi di dolore / disabilità (come visto nelle “bandiere gialle”). Mentre la loro durata dei sintomi è più lunga, quindi soprattutto cronica, di solito traggono beneficio da interventi mirati di rinforzo e di resistenza muscolare che migliorano gli squilibri muscolari e / o i deficit causati da muscoli più “forti”che possono inibire i rispettivi antagonisti (Janda, Greenman) creando compensi di varia natura tra il rachide cervicale e quello dorsale che sono intimamente connessi (Colonna 2006). Nel 2008, una serie di linee guida cliniche pubblicate dall’American Physical Therapy Association per il trattamento delle cervicalgie sollecitavano la partecipazione attiva all’esercizio (Childs et al. 2008). Allo stesso modo in cui il farmaco è prescritto nei dosaggi richiesti, è consigliato un grado di precisione simile alle prescrizioni sull’attività fisica: questo è l’esercizio terapeutico che si differenzia dall’esercizio generale,dal fitness e dal classico allenamento in palestra (che recano comunque innegabili benefici). Da qui lo sviluppo del formato FITT: frequenza, intensità, tempo e tipo (Oberg 2007).

Gruppo Controllo del Dolore

Il gruppo di “controllo del dolore” consiste nell’utilizzo di tecniche manuali non aggravanti, modalità terapeutiche passive come il ricorso al calore o al freddo e a elettromedicali (Low level laser, Ultrasuoni, Tecar, elettroterapia), con la modifica delle attività quotidiane. Il paziente dovrebbe essere portato a una categoria di classificazione più attiva non appena ne sia in grado.

Gruppo Mal di Testa

Il gruppo “mal di testa” viene trattato con tecniche di terapia manuale diretta alla colonna vertebrale cervicale e toracica (manipolazione vertebrale, mobilizzazione generale ed in artrocinematica, rilascio dei muscoli sub-occipitali, release miofasciale, trigger/tender points ecc.); esercizio fisico e terapeutico (l’aerobica risulta più utile in alcuni tipi di mal di testa mentre il rinforzo muscolare in altri); lavoro di mobilità rivolta alle spalle e braccia

La classificazione cambia assieme al paziente.

Come affermato in Chad Cook, “Terapia manuale per la colonna cervicale: un approccio basato sull’evidenza”, il processo di classificazione è in continuo sviluppo perché la condizione clinica del paziente cambia con il tempo e così il trattamento. È necessaria una rivalutazione continua per determinare il sottogruppo più appropriato e il successivo intervento in qualsiasi momento del percorso terapeutico.

Supportato da prove

Le prove supportano l’efficacia di questo sistema di classificazione. Nel 2007 Fritz et al hanno svolto un’indagine preliminare sull’utilità di questo particolare approccio di trattamento. Le caratteristiche e le valutazioni di base del paziente sono state eseguite su 274 pazienti e i soggetti sono stati divisi in due gruppi: 113 di questi pazienti hanno ricevuto interventi corrispondenti alla categoria di appartenenza 161 pazienti hanno ricevuto interventi generali.

I pazienti che hanno ricevuto gli interventi mirati secondo la classificazione hanno mostrato i migliori cambiamenti (il 72,5%) sia nei punteggi della scala Neck Disability Index (NDI), sia in quelli della valutazione del dolore rispetto all’altro gruppo. Interessante anche il case report condotto da Heintz and Hegedus riguardo a un paziente che presentava dolore al collo trattato con successo con questo sistema di classificazione basato sul trattamento.

La fisioterapia per il dolore al collo

Il deficit nelle performance dei muscoli cervicali può verificarsi rapidamente dopo l’insorgenza del dolore al collo e può persistere nonostante la riduzione o risoluzione dei sintomi (Sterling et al., 2003). La ricerca ha dimostrato che gli esercizi per migliorare la coordinazione, la resistenza, o la forza possono risolvere i sintomi di dolore al collo (Sarig-Bahat 2003).

Questo è logico dato che la muscolatura del collo fornisce quasi l’80% della stabilità al rachide cervicale (Panjabi et al., 1998). I muscoli profondi flessori cervicali (DCF) situati nella loggia anteriore del collo e in profondità e i muscoli estensori cervicali profondi (DCE), appaiono, in particolare, proni alla compromissione nei pazienti con dolore al collo (Sterling et al. 2003). Questi muscoli hanno un’alta densità di fibre tipo 1 e di fusi neuromuscolari (importanti recettori) e sono vulnerabili all’inibizione del dolore, vale a dire che possono facilmente divenire la principale fonte dei sintomi (Boyd-Clark et al., 2002).

Ridotto controllo motorio e difficoltà muscolare possono causare un movimento indesiderato tra i distretti del collo o instabilità durante la contrazione dei lunghi muscoli superficiali (Winters & Peles 1990).

Quindi la riabilitazione iniziale dovrebbe essere rivolto al miglioramento della performance muscolare e soprattutto alla coordinazione dei muscoli cervicali profondi.

Fonte: fisioterapiaitalia.com