Allenamento, dolore cronico e fisioterapia
Introduzione – Allenamento, dolore cronico e fisioterapia
Ogni fisioterapista ha visto l’espressione di sgomento e paura nel paziente – che soffriva di dolore cronico – a cui veniva chiesto di fare degli esercizi fisici per la prima volta, magari dopo tanto tempo.
Anche il solo proporre dell’attività di questo tipo, proprio per la paura che provoca, potrebbe essere davvero scoraggiante per il paziente. Perciò è essenziale che si conoscano non solo le tecniche di attuazione di tali metodologie ma anche il giusto approccio psicologico verso chi sta soffrendo. Quando si parla di dosaggio (o quota), viene subito in mente quello dei vari medicinali e la loro posologia. Purtroppo si ha la tendenza a “prescrivere” quasi sempre le classiche 3 serie da 10, 12 o 15 ripetizioni.
Un principio che andrebbe, dopo tantissimi decenni, modificato in funziona di una metodologia su misura in funzione dei bisogni specifici delle persone.
Storia e princìpi del 3 x 10
Chi si è allenato in palestra sa che variare ripetizioni e serie serve all’organismo – in modo particolare ai muscoli – per non abituarsi ai carichi e avere migliori risultati sia per quanto riguarda l’ipertrofia che la definizione.
In Fisioterapia, al contrario, non si è mai data troppa importanza al “modo” di fare gli esercizi, innamorandosi dello standard 3 x 10. In pratica si fanno sempre dieci ripetizioni, ci si riposa un tempo variabile (di solito almeno un minuto), per poi ripetere l’esercizio per un totale, appunto, di tre serie.
Ad aver creato tale protocollo fu Thomas DeLorme che curava soldati feriti durante la Seconda Guerra Mondiale. Egli notò come questi uomini, a fronte di ferite anche gravi, traessero il maggiore beneficio seguendo il 3 x 10.
Il suo modello venne così scelto, solo in minima parte studiato e modificato, dalla maggior parte dei centri di riabilitazione (e anche di fitness). Il principio del metodo era banale: aumentava la forza e velocizzava il recupero attenuando il dolore (Fonte: Todd, Shurley e Todd, 2012).
Con questo non si intende suggerire che l’esercizio fisico non attenui il dolore: ci sono tantissime ricerche che al contrario indicano come esso porti a una ipoalgesia indotta (Fonti: (Bement & Sluka, 2016; Frey-law & Sluka, 2017; Koltyn, Brellenthin, Cook, Sehgal, & Hillard, 2014; Lima, Abner, & Sluka, 2017; Naugle, Fillingim, & Riley, 2012).
Diviene necessario uno studio più approfondito, soprattutto caso per caso, così da comprendere la validità specifica dell’esercizio fisico in chi soffre di dolore cronico.
Ormai i fisioterapisti dovrebbero conoscere, oltre al loro mestiere, anche le basi dell’esercizio fisico per poterlo applicare nel modo opportuno ai loro pazienti. Esistono, in linea di massima, 4 fondamentali principi:
Sovraccarico, è utile per migliorare la funzionalità fisiologica e produrre una più rapida risposta dell’organismo dovuta all’allenamento.
Specificità, sia degli esercizi da proporre che delle differenti attività in funzione della singola persona per generare “specifici” effetti.
Differenze individuali, ogni persona risponde in maniera differente alle medesime sollecitazioni in funzione di moltissimi fattori personali, fisici e anche psicologici.
Reversibilità, se una persona lascia un programma di allenamento il suo “ritorno al passato” sarà molto rapido. Capire questo meccanismo per poterlo affrontare e diminuirne gli effetti negativi è importantissimo.
Se si vuole creare un programma di esercizi, in funzione di un approccio fisioterapico per affrontare il dolore, è opportuno conoscere appieno i 4 principi sopraelencati.
Le prove che indicano una correlazione tra dolore ed esercizio
Va riconosciuta la grande difficoltà che le persone, vittime di dolore cronico, sono costrette ad affrontare quando fanno dell’esercizio fisico.
Spesso medici e terapisti tendono ad allarmare troppo i loro pazienti dicendo loro di fermarsi non appena sentono fastidio, andando così a rinforzare quello che è conosciuto come: comportamento di evitamento (Fordyce, 2015).
Gli studi dimostrano come alcuni medici possano instillare nei pazienti, ovviamente in modo non intenzionale, la convinzione che il dolore sia correlato direttamente al danno incoraggiandoli a smettere di fare esercizio.
Siamo di fronte a un meccanismo facilmente spiegabile: siamo creature sociali che non amano vedere gli altri soffrire, i fisioterapisti – oltre a essere persone – sono anche professionisti il cui fine è di far star bene gli altri.
Capire come fare esercizio fisico, le sue implicazioni fisiologiche o anche il riacutizzarsi del dolore stesso, sono argomenti complessi poiché il dolore è un fenomeno multidimensionale.
I medici e gli specialisti devono capire che provare dolore, non significa per forza:
- Nuocere a una persona.
- Non significa che è in pericolo.
- O che possa in qualche modo creare lesioni o danni.
Si deve essere freddi, prendere le distanze dal “dolore” e accettare che possa essere parte integrante di una terapia basata, ad esempio, su un allenamento che potrebbero provocarlo.
Cosa fare per aiutare una persona che svolge esercizi dolorosi…
Ecco un breve decalogo – per fisioterapisti – al fine di rendere l’esperienza il più gradevole possibile:
- L’esercizio fisico deve essere divertente.
- Fai fare esercizi aerobici, ma anche di controllo motorio.
- Monitora costantemente eventuali sintomi o fastidi, mantieni tutto sotto controllo.
- Tra le varie serie è opportuno fare pause abbastanza lunghe (di media tra i 2 e i 5 minuti).
- Scegli specifici esercizi in funzione del paziente e adattali alle sue esigenze personali.
- Utilizza un approccio organizzato e che segua una linea del tempo precisa.
- Parla con il paziente e discuti con lui il tipo di protocollo d’allenamento che hai in mente.
- Accetta che il dolore, in minima parte, sia destinato ad aumentare durante lo svolgimento delle sessioni d’allenamento.
- Attenzione, rispetto ed empatia.
Seguire questa linea guida è un buon punto di partenza per avere un approccio più positivo ma che “accetti” l’esperienza del dolore come parte integrante della terapia.
… e cosa NON fare
Vediamo ora alcuni degli errori più comuni e cose da NON fare:
- Iniziare da subito con carichi troppo pesanti che potrebbero provocare molto dolore.
- Focalizzarsi esclusivamente sul 3 x 10.
- Allenare solo le zone doloranti a scapito di quelle che invece “sembrano” non esserlo.
- Puntare al non far sentire il dolore – perché il dolore non è un indicatore delle condizioni dei tessuti.
- Essere troppo duri e “dittatoriali” con il paziente, quando invece sono necessari dialogo e collaborazione.
Come si evince da questa sommaria lista si dovrebbe ascoltare il paziente e, allo stesso tempo, conoscere le varie tecniche per evitare che questi – per paura del dolore – lo rifugga andando a incidere negativamente sulla terapia.
Anche se l’esercizio potrebbe essere associato a un aumento del dolore, per chi ne soffre in modo cronico, difficilmente questo si tradurrà in un ulteriore danno ai tessuti.
Ad esempio, se si lavora con un paziente che ha una maggiore sensibilità si può:
- Continuare con un esercizio un po’ doloroso perché potrebbe andare bene comunque.
- Aumentare progressivamente “il dosaggio” al fine di incrementare la tolleranza in modo progressivo.
A dimostrazione una meta-analisi di Smith et al., (2017) ha mostrato che fare esercizi – quando si ha dolore – offra benefici a breve termine: ciò dovrebbe tranquillizzare medici e pazienti sul fatto che si senta dolore durante la terapia.
Una più attenta analisi su questa meta-analisi ha evidenziato che i partecipanti ai test fossero incoraggiati dalla promessa che il dolore:
- Non sarebbe stato superiore a un determinato livello (nello specifico un 5/10 sulla scala VAS).
- Che i sintomi si sarebbero attenuati prima della seguente sessione di esercizi o il giorno successivo.
Il dolore è un fenomeno fortemente soggettivo, tanto che un 5/10 per una persona, dovuto da un dato movimento, può essere invece percepito come un 2/10 o anche un 8/10 da altri.
Scegliere il ritmo, decidere l’obiettivo, lavorare per livelli (o quote)
Uno dei metodi maggiormente diffusi per “allenarsi” anche quando c’è dolore (e contro di esso) è di lavorare per livelli prestabiliti (o quote).
Il meccanismo è abbastanza semplice: si prestabilisce un quantitativo di attività che deve essere svolta indipendentemente dall’intensità del dolore che la persona sente.
A questo punto si aumenta il carico di lavoro in modo graduale, permettendo al paziente di “abituarsi” al dolore.
Siamo di fronte a una metodologia combinata con un approccio sistemico in cui, una volta raggiunta la quota di lavoro, il soggetto viene ricompensato (Fordyce, 2015).
In termini teorici quello a “quote” potrebbe sembrare un metodo valido, che fa leva su una crescita costante e lineare. Alcuni lo paragonano al salire le scale, dando un obiettivo da perseguire in tempo prestabilito.
In pratica il lavoro che si dovrebbe svolgere, sia nelle buone che nelle cattive giornate, dovrebbe essere sempre lo stesso senza tenere conto – altro limite di questo metodo – che ogni persona è differente e reagisce con modalità proprie rispetto al dolore.
Tale limite si manifesta maggiormente proprio quando non c’è comprensione, da parte del paziente, dello stesso metodo e dei suoi principi con conseguente fallimento della terapia.
Di recente si sta discutendo molto sul miglior approccio da seguire e quali principi di allenamento applicare. Sebbene il lavoro per quote si sia dimostrato utile (esso mira ad aumentare gradualmente i carichi di lavoro), mostra però evidenti limiti, per questo si sta provando a combinarlo con metodi più dinamici, dosati sul singolo individuo.
Conclusioni
È importante lavorare sul dosaggio (o quota) con una grossa enfasi alla contingenza temporale così come alla tolleranza fisiologica.
Abbiamo visto in questo articolo: come storicamente il 3 X 10 si sia diffuso tra i fisioterapisti, che un nuovo approccio potrebbe mostrarsi più indicato, sempre allenando la forza, per aiutare chi soffre di dolore cronico l’importanza di creare una scala soggettiva del dolore. Tutto ciò sarebbe inutile se dovessero mancare l’impegno, la voglia di cambiare e mettersi in gioco.
Qualsiasi programma di allenamento, senza la volontà non porta ad alcun risultato, sarebbe come sperare di mettersi davanti allo specchio dopo una sessione in palestra convinti di notare dei miglioramenti!
Un buon fisioterapista non solo conosce gli strumenti per aiutare il paziente, ma sa anche come stimolarlo dal punto di vista umano e dargli fiducia nei propri mezzi rompendo l’idea che il movimento porti dolore: o ancora meglio che il dolore provocato dall’esercizio fisico, sia un indicatore di danni ai tessuti.
Fonte: fisioterapiaitalia.com